MARIANNE CHAUD E IL SORRISO DELL'HIMALAYA
La voce di Marianne Chaud è dolce, come il suo sorriso. La
Sala Olimpica del Festival è gremita fin dal primo pomeriggio. Sì, è lei:
Marianne delle donne dello Zanskar, del piccolo monaco Kenrap, delle
transumanze nomadi di Himalaya. Il Festival l’aspettava da anni, e l’attesa si scioglie in commozione quando il suo racconto inizia a ripercorrere i film che hanno
innamorato gli spettatori in Lessinia e in tutto il mondo. La chiamavano Angmo,
lassù, perché nessuno riusciva a pronunciare il suo nome. In quella terra dove
«tutti lavorano per tutti, tutti fanno attenzione a tutto». Ah, la serenità di
quelle genti! Così Marianne-Angmo, dopo aver tanto vissuto in quelle case e con
quelle genti per la sua tesi di laurea, decide di filmare. Le affibbiano una
grande troupe, e tutto si riduce in una sterile messa in scena. «Allora sono
partita da sola, con una telecamera e un microfono. E tutti a dirmi che sarebbe
stato impossibile, e invece…» Invece Marianne, da sola, con quelle donne, quei
bambini, quei pastori ha instaurato una relazione d’amore e sono nate le
straordinarie immagini dei suoi film, tutti presentati in Lessinia, e che ora
scorrono sullo schermo della Sala Olimpica. «Fortifica il tuo cuore se non vuoi
cadere», le dice il piccolo Kenrap, camminando sulla neve lungo la pericolosa
cengia a strapiombo sulla valle. E lei dietro, senza corde, senza ramponi,
senza sponsor: una lezione per i “filmmaker di montagna”. Le parole sono alte,
altissima la lezione di vita che quelle genti hanno consegnato a lei, e che lei
consegna a tutti noi, gli ossessionati dall’idea di possesso: «Tutto è
effimero. Viviamo per morire, incontriamo le persone per lasciarle, troviamo le
cose per perderle».