DI MIGRANTI DI IERI E DI OGGI
E un silenzio commosso si impossessa del Teatro Vittoria. È il dovere del ricordo che lascia voce a chi ha vissuto quell’8 agosto 1956, sopra il fumo di morte che saliva nero dal maledetto pozzo di Marcinelle. Paolo Di Stefano ha raccolto le testimonianze di chi c’era, entrando nelle case di mogli e vedove, figli e orfani, trascrivendo senza edulcorare, avvicinandosi senza la morbosità dei giornalisti in cerca di tragedie da raccontare. E dal quel libro sconvolgente già dal titolo, La catastròfa, la cantautrice Etta Scollo ha trovato le parole per il suo oratorio. Ecco il Teatro riempirsi della sua voce, capace di grida dolorose e di tinte nere come la miniera, e del racconto di Leonardo De Colle. Ma più di tutto di quelle immagini, quei volti neri, sudati di carbone, di sofferenza, forse di rimpianto. Il Festival rende omaggio alla fatica dei migranti, e si annodano i fili di ieri e di oggi con il documentario Cafè Waldluft di Matthias Koßmehl, dove si racconta di chi, da altre regioni dal mondo, per altro lavorare ma per la medesima speranza, giungono in Europa. I volti spaesati, le aspettative deluse, la diffidenza reciproca sono gli stessi di allora, quando gli emigranti eravamo noi. Da Istanbul, a sera, arriva il regista Emre Kayişa raccontare un’altra storia di rifugiati e respinti al confine siriano, vista con gli occhi di un ragazzo che nel tempo di una sola esperienza di vita è costretto a diventare adulto. Accade, oggi, in quelle terre martoriate. Al Teatro Vittoria (esaurito per tutto il primo weekend del Festival) vanno sullo schermo i cortometraggi e le animazioni del Festival. E seduto tra il pubblico si intravede il grande Franco Piavoli, ad assistere commosso al film in concorso del figlio Mario, Il suono del mio passo. Il Festival continua il suo cammino.