21/08/2016

PAOLO RUMIZ E LA CELEBRAZIONE DEL CAMMINO

PAOLO RUMIZ E LA CELEBRAZIONE DEL CAMMINO

«Non sei tu a fare il viaggio, è il viaggio che ti fa.» Paolo Rumiz ha voglia di raccontare il viaggio più importante, «senza togliere niente ai 15 fatti per Repubblica». Si confida. E racconta la settimana appena conclusa con il nipotino, lungo un fiume della Svizzera. «Alla mia età ci sono delle priorità, e prima dei lettori c’è l’adorato Federico. Almeno per lasciare a lui un segno del mio passaggio su questa terra.» I quattrocento del Teatro Vittoria hanno capito: si parlerà del cammino dell’Appia, e di altro camminare. «Camminando mi vengono molte più idee che stando fermo», perfino nel grande cucinone di Trieste che guarda al mare, Rumiz si alza per mescolare il sugo, e bastano questi pochi passi a rimettere in moto il treno delle idee. «Chi cammina prende un ritmo, questo ritmo genera un canto interiore. Quando ci si lascia prendere dalla strada questo canto si impossessa di noi. Allora il tuo camminare diventa eretto, come quello di Mosè. E non avrai bisogno di chiedere, saranno gli altri, vedendoti camminare, a chiederti chi sei. Conoscerai il mondo senza nemmeno fare una domanda.» E si finisce da dove si era cominciato, prima di firmare autografi sui suoi libri per un’ora e mezza. «Il cammino di modifica. Alla non sei più la stessa persona che eri all’inizio.» Dopo questo incontro con Paolo  Rumiz, anche il Festival non è più quello che era prima.

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