NELUZZO

Neluzzo è uscito dalla sua Romania per la prima volta. Resta
in Italia per una settimana grazie al Festival che lo ha invitato insieme con i
registi del film Lupele. Quando,
nella sala gremita, parla del periodo comunista si emoziona. «Ma sono lacrime
di felicità, pensando a quanto ho sofferto», ci confiderà in Osteria. Poi
intona un canto rumeno. Voci dalle montagne del mondo, come quella di Lilit che
dall’Armenia ha portato il suo piccolo film che parla di famiglia. Il visto per
l’Europa che ha ottenuto per venire al Festival le servirà per il lavoro di
regista che sogna di continuare a fare. Altre voci dalla Bolivia, dal Belgio,
dalla Francia. Nell’affollata proiezione serale due film e due cuori, quello
del toro sacrificato per invocare il tio della
miniera, e quello di una motocicletta, La
persistente. L’accostamento provoca. Il pubblico si interroga. Le due
giovani registe, Karen e Camille, dialogano lungamente davanti a un bicchiere
di Valpolicella. Rosso, come il sangue dei loro film, come il ricamo della camicia
tipica rumena, come la fada del
Festival. «Lasciatemi cantare con una chitarra in mano», intona Neluzzo. Un
volto e una voce che non dimenticheremo.